Studenti di Agraria danno “lezione” sul perché non vanno bruciati i residui colturali (stoppie).

Studenti di Agraria danno “lezione” sul perché non vanno bruciati i residui colturali (stoppie).

“Ogni volta che una colonna di fumo s’innalza da un campo coltivato e si diffonde in atmosfera, a causa della bruciatura all’aperto dei residui colturali, vengono incenerite le buone pratiche agronomiche, sfuma
così l’opportunità di fare la cosa giusta”
Ereditiamo un mondo in pieno disfacimento, giunto ormai al collasso climatico-ambientale. Tutto quel che accade intorno a noi lo dimostra, non serve l’ennesima elencazione dei disastri a cui stiamo assistendo, impotenti. Di questo destino le generazioni che ci hanno proceduto ne sono responsabili, a noi l’ingrato compito di scontarne le conseguenze e porvi rimedio, nel tempo che ci rimane. Da decenni se ne conoscono le cause e si è consapevoli di quanto occorre fare, ma l’inerzia ed avidi interessi di cortorespiro rallentano la messa in atto degli interventi necessari ed urgenti.
Ciò accade anche riguardo al nostro contesto regionale. Non possiamo che evidenziare una profonda divaricazione fra il bagaglio delle conoscenze tecnico-scientifiche acquisite nel corso della nostra formazione universitaria e quanto si realizza nel mondo agricolo, di nostro specifico interesse professionale. Ci risulta, infatti, che la Regione Puglia, in deroga alle normative vigenti, consenta ormai
sistematicamente la bruciatura dei residui colturali in campo. Pochi mesi fa è accaduto che, con Legge Regionale del 19 aprile 2021 n. 6, sia perfino possibile la bruciatura dei residui colturali nelle aree naturali protette e nelle aree “Natura 2000”, la rete ecologica europea dei Siti d’Importanza Comunitaria (SIC) e delle Zone Speciali di Conservazione (ZSC). Quanto accade ci sconcerta e non siamo disposti ad accettarlo. Come si può essere così miopi, a dispetto della tanto evocata “transizione ecologica”,
evidentemente termine ridotto a mero slogan, ormai vuoto e banalizzato.
Le problematiche legate alla bruciatura delle stoppie e dei residui colturali in genere sono largamente trascurate nel nostro territorio, sebbene a livello nazionale e sovranazionale le agende politiche degli ultimi decenni abbiano posto in evidenza la cruciale importanza della questione. Con la riforma della Politica Agricola Comune (PAC), dal 2003 ad oggi, la UE ha stabilito atti e norme che vincolano
l’imprenditore agricolo, beneficiario di un pagamento, ad agire a tutela dell’ambiente, del benessere animale e della salute dell’uomo. Entro questo quadro di riferimento, sussiste l’obbligo del “mantenimento dei livelli di sostanza organica nel suolo mediante pratiche agricole adeguate, compreso il divieto di bruciare stoppie, se non per motivi di salute delle piante”.
Ciò evidenziato, in qualità di studentesse e studenti del corso magistrale in “Scienze e Tecnologie Agrarie”, in assenza di altre voci e prese di posizione, pensiamo sia nostro compito fornire ragione delle evidenze che dimostrano quanto questa pratica agricola non sia più ammissibile (se non in casi d’eccezione) e sia semplicemente il retaggio di una cultura di assai difficile sradicamento che non andrebbe più né blandita, tanto meno incoraggiata.
La combustione all’aperto delle stoppie e dei residui colturali comporta una serie di criticità:
 E’ una grave fonte d’inquinamento dell’aria ed una minaccia alla salute pubblica, genera
emissioni nocive (CO2, NOX, CH4, SO2, NH3,) e libera in atmosfera polveri sottili (PM10, PM2,5).
Tutte queste sostanze hanno azione tossica e, in alcuni casi, manifestano effetti altamente
cancerogeni. Vogliamo qui ricordare che l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia UE per aver “persistentemente” violato le norme sull’inquinamento atmosferico, superando in maniera “sistematica e continuata” i valori limite di PM10 tra il 2008 e il 2017.
-L’impatto ambientale è notevole: distrugge la sostanza organica presente negli strati superficiali del suolo e ne annienta il possibile incremento, compromettendo la fertilità dei suoli coltivati, già così poco dotati in humus negli ambienti mediterranei.
– La perdita dei gas emessi in atmosfera contribuisce ad aumentare l’effetto serra ed il conseguente riscaldamento climatico. D’altro canto, il diminuire dello stock di carbonio nel suolo annulla il contributo alla mitigazione del cambiamento climatico che potrebbe realizzarsi tramite il “sequestro” del carbonio sotto forma di sostanza organica.
 Comporta gravissimi rischi per l’assetto idrogeologico del territorio. I suoli percorsi dal fuoco sono vulnerabili all’azione erosiva dell’acqua, con perdita del suolo più fertile. Per giunta, il trasporto dei nutrienti minaccia gli ecosistemi acquatici e ripariali a valle.
– Bruciare i residui agricoli in campo, in assenza di un controllo diretto, assiduo ed accorto, comporta un rischio elevato d’incendio. Gli incendi, potrebbero causare delle vittime; oltre ad un grave danno economico dovuto allo scadimento del paesaggio che fa diminuire i flussi turistici; infine, il danno ambientale ed ecosistemico è enorme se si considera che nei nostri territori si fatica a formare e
conservare le reti ecologiche − ambienti naturali e semi-naturali − in grado di ospitare la flora e la fauna selvatica.
– La bruciatura dei residui può favorire la combustione dolosa ed illecita di rifiuti. Il corretto smaltimento dei rifiuti agricoli, come i contenitori di fitofarmaci, è doveroso; non manca però l’infiltrazione di organizzazioni criminali o agricoltori che occultano rifiuti nel terreno bruciando anch’essi con i residui colturali. Ciò, causa la liberazione in atmosfera e la penetrazione nel suolo di molecole chimiche altamente nocive per l’intero ecosistema, aggravando ulteriormente l’entità del danno conseguente alla bruciatura delle stoppie.
Ragionando secondo un’ottica alternativa, molteplici sono le opportunità che una corretta gestione dei residui e l’adozione delle buone pratiche agronomiche potrebbero offrire. Secondo i più recenti orientamenti dell’agricoltura conservativa, la trinciatura dei residui ed il loro rilascio sulla superficie
del suolo consente di realizzazione un’utile strato pacciamante che previene l’erosione, preserva l’umidità, attenua gli estremi termici, contribuisce alla formazione di una lettiera che attiva utili processi microbiologici a vantaggio delle piante coltivate. Anche l’interramento dei residui, precedentemente trinciati, è pratica consigliabile lì dove si attuano superficiali lavorazioni meccaniche del suolo (arature).
Inoltre, bruciare in campo i residui impedisce che essi possano essere impiegati come una risorsa energetica rinnovabile. Infatti, il modo più semplice per impiegare le paglie cerealicole, le frasche degli oliveti, i sarmenti dei vigneti sarebbe quello ditrinciarli per utilizzarli direttamente come combustibile.
Dai residui delle potature è anche possibile ottenere del pellet dalla cui disponibilità deriverebbe il vantaggio di limitarne i massicci flussi d’importazione.
Potremmo volgere lo sguardo verso nuove strategie che puntino ad una vera economia circolare, nell’ottica della difesa dell’ambiente e della riduzione dell’inquinamento. Una soluzione davvero interessante potrebbe esser quella d’indirizzare l’impiego di questi combustibili residuali verso processi
termochimici che, oltre a produrre energia, forniscono la disponibilità del biochar, o carbone vegetale, in qualità di ottimo ammendante del suolo agrario il cui contenuto in carbonio è stabile nel tempo riuscendo a “sequestrare” efficacemente la CO2 atmosferica ed operando così a vantaggio della mitigazione climatica.
In conclusione, abbiamo delineato le numerose ragioni per abbandonare la pratica della bruciatura delle stoppie e dei residui colturali, sottolineandone i rischi nonché le ottime potenzialità di pratiche alternative di gestione che comportano sicuri benefici ambientali ed economici. Promuovere un’evoluzione del pensiero corrente è un’impresa complessa perché spesso il cambiamento si
accompagna ad incertezza e diffidenza. L’abbandono della monoscuccessione cerealicola, ad esempio, è un obiettivo inscindibilmente connesso al superamento della bruciatura delle stoppie, foriera di altri
plurimi impatti negativi. La chiave risolutiva è senza dubbio quella di fornire alternative concrete, sostenibili ecologicamente, compatibili con gli standard ambientali, nonché valide anche economicamente. Questo il compito importante che ci attende come professionisti.
Vorremmo solo che le Istituzioni democratiche, le donne e gli uomini che in esse ci rappresentano, non fossero di ostacolo e non “remassero contro” queste prospettive d’innovazione, favorendo invece
l’emancipazione da anacronistici retaggi del passato.
Nell’attesa di un riscontro, noi studentesse e studenti dell’Università di Foggia, restiamo fiduciosi che le conoscenze, così ben apprese e di cui siamo orgogliosi, possano diventare realtà vitale e praticabile per lo sviluppo di qualità dell’agricoltura regionale.

A firma degli studenti:

Bisceglia Silvia, Botticella Lucia, Monachese Anna Pia, Nigro Elena, Rosato Salvatore Pio, Silvestri Marianna

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