Dieci anni senza Franco Mancini.

Dieci anni senza Franco Mancini.

“Il portiere su e giù cammina come sentinella. Il pericolo lontano è ancora. Ma se in un nembo s’avvicina, oh allora una giovane fiera si accovaccia e all’erta spia”. Umberto Saba non amava tanto il calcio ma ha dedicato cinque poesie a questo gioco bellissimo. E tra i suoi versi c’è ne uno dedicato a chi svolge il ruolo più difficile, più complicato e che basta un errore per cancellare dieci parate strepitose. Fare il portiere non è una passeggiata soprattutto nelle squadre allenate dal maestro. Perché Zeman chiede ai suoi portieri non solo di parare ma di essere parte attiva del gioco. Le famose ripartenze dal basso di cui Franco Mancini è stato il migliore interprete. Di aggettivi ne sono stati dati tanti. Ma la sua più grande dote era il coraggio. Non aveva paura degli avversari, ha perfino fatto un sombrero a Van Basten. Forte come i sassi della sua città natale. Matera, dove è nato e cresciuto, dove ha mosso i primi passi nel calcio, dove Peppino Pavone l’ha trovato e convinto a trasferirsi nel capoluogo dauno. Quella telefonata, arrivata mentre era impegnato in panificio. E sì, Franco Mancini prima di sporcarsi i guantoni si è sporcato le mani con la farina. A Foggia è arrivato quando non aveva ancora vent’anni, perfetto per Zeman grazie alle sue capacità di essere difensore aggiunto, stile Higuita. Ma il boemo andò via prima e solo due stagioni più tardi, con la promozione in serie B, iniziò quel connubio che avrebbe portato Mancini a diventare uno dei pilastri di Zemanlandia. Ha vestito la maglia rossonera per 235 volte in campionato e detiene il record di presenze in serie A con 122. Nove stagioni a Foggia, per lasciare un segno che mai si cancellerà e la curva nord dello Zaccheria è dedicata a lui. Ma si è fatto voler bene ovunque ha giocato. Il suo rapporto con il maestro non è mai finito, fino a Pescara nell’anno della promozione in seria A. Ma la sua vita si è spenta due mesi prima della festa. Quel maledetto 30 marzo di dieci anni fa. Resta il suo patrimonio sportivo e umano che si conserva in chi l’ha amato, chi l’ha conosciuto ma anche in chi lo ha visto semplicemente in azione o ne ha sentito solo parlare. E se oggi ci fosse un premio dedicato a lui sicuramente Domingo Dalmasso potrebbe essere uno dei papabili vincitori. Zeman ci ha visto bene, ma anche i tifosi hanno visto qualcosa che ricorda Franco Mancini.

Gianni Gliatta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *